Nella nostra società siamo bombardati dall’idea di dover raggiungere la perfezione, un ideale al quale aspirare in tutti gli ambiti. Nel lavoro, nello studio, nella vita sociale, dal punto di vista estetico.
In realtà questa ricerca non aiuta affatto e ci fa sentire sempre inadeguati.
Sarà il caso di mollare quella ricerca della perfezione tanto desiderata? E soprattutto esiste o l’abbiamo sopravvalutata?
Caratteristiche del perfezionismo patologico
Il perfezionismo è una trappola, che ci conduce ad essere sempre insoddisfatti delle nostre performance nel lavoro, nelle nostre scelte e nella considerazione del nostro valore personale. Quest’ultimo troppo spesso viene paragonato alle aspettative sociali e così finiamo per svilirci. Le aspettative nei nostri confronti sono molteplici e provengono dalle fonti più disparate. E’ impossibile raggiungerle ogni volta. Ciò che i nostri genitori si aspettano da noi sarà diverso da ciò che il nostro partner desidera dalla relazione e gli amici avranno ulteriori richieste, a seconda delle circostanze. Accontentare tutti significa perderci. Smarrire la nostra identità e il contatto con le nostre necessità e i nostri bisogni personali.
Siamo abituati a pensare al perfezionismo come alla qualità di una persona, qualcosa che le permette di spingersi oltre i suoi limiti per raggiungere obiettivi, soddisfazioni personali e successo. In realtà, vissuto in prima persona, il perfezionismo è più un circolo vizioso, che ti rende raramente soddisfatto. Per il più delle volte conduce gli individui all’autosvalutazione e alla minimizzazione delle proprie competenze e potenzialità. La società ci spinge sempre più alla competizione con gli altri e questo sistema ci fa sentire perdenti se non puntiamo e raggiungiamo “il massimo”.
Meccanismi alla base del perfezionismo
Per comprendere meglio questa dinamica, possiamo pensare al perfezionismo come a una dipendenza. Ci reca soddisfazione al momento, quando ad esempio siamo fieri del nostro lavoro, ma subito dopo ci catapulta in una costante sensazione di inadeguatezza che ci fa sentire un fallimento. La prima sensazione di gratificazione che segue una azione “fatta bene” funge da ricompensa, ossia da rinforzo positivo, che spinge l’individuo a perpetuare la sensazione di dover dare sempre il massimo di se stesso e delle proprie capacità. Questo “massimo” però troppo spesso risulta scollato dalla realtà individuale e dalle specificità di ciascun essere umano, il quale è dotato, come è normale che sia, di punti forza e di punti di debolezza. E’ proprio lo sforzo ostinato di non fare i conti con questi ultimi che ci spinge alla sensazione di non essere mai “abbastanza”. Il problema è che, se ci paragoniamo alla perfezione, saremo sempre un fallimento. L’essere umano è intrinsecamente imperfetto.
Conseguenze del perfezionismo
Questo atteggiamento competitivo rende soprattutto i giovani eccessivamente interessati ad essere i primi a livello scolastico, lavorativo, ma anche sociale. Così viene alimentato il perfezionismo tra i ragazzi, che cercano in continuazione di raggiungere un ideale impossibile. I parametri sociali ed economici divengono sempre più impegnativi. Propongono nuove sfide e obiettivi che da una parte ci danno la forza per dare il meglio di noi, ma dall’altra può diventare controproducente e autosabotante. La sensazione di non raggiungere le aspettative irrealizzabili ci sembra una sconfitta ed alimenta il senso di impotenza. Il senso di impotenza, a sua volta, conduce l’individuo alla procrastinazione fino all’immobilismo. “Siccome non sono perfetto, meglio rinunciare nella vita (a fare e a scegliere)”.
Il perfezionista pretende da se stesso quello che è impossibile per le persone, e per questo finisce per non accettarsi e non accettare neanche l’essenza dell’uomo: l’errore e il miglioramento. Questo atteggiamento è evidentemente tossico, ha un impatto negativo sulla nostra salute mentale.
Numerosi studi hanno dimostrato che il perfezionismo, nel suo eccesso, conduce a problemi come ansia e depressione (Cognitive Therapy and Research, 2005; BMC Psychiatry, 2014).
Perfetti non si nasce
Per questo, dovremmo abbracciare i nostri difetti. Sono proprio quelli che ci rendono unici, sono parte della nostra identità. Dovremmo imparare ad essere più gentili con noi stessi, accettandoci per i nostri alti e bassi, punti di forza e punti di debolezza. Voler migliorare è un desiderio assolutamente lecito e sano. Deve però partire dal presupposto di farlo con i propri tempi, attraverso una conoscenza autentica e consapevole di se stessi. Nella volontà di apprezzare ogni passo in avanti.
Se desideri approfondire l’argomento o hai bisogno di un sostegno psicologico per affrontare una problematica relativa al perfezionismo, puoi rivolgerti ad un professionista della salute mentale, come uno psicoterapeuta cognitivo comportamentale. Un valido supporto terapeutico saprà rafforzare la tua autostima e ti aiuterà ad individuare le competenze personali per dare il meglio di te stesso senza pagare un costo troppo caro in termini di sofferenza psichica.