DIPENDENZA PATOLOGICA E FUNZIONI COGNITIVE

dipendenze

La tossicodipendenza si manifesta clinicamente come la ricerca e l’uso compulsivo di una droga assieme ad un desiderio incoercibile di questa che può persistere nel tempo e ripresentarsi anche dopo lunghi periodi di astinenza. Da un punto di vista psicologico e neurologico, la dipendenza patologica è un disturbo conseguente ad una cognitività alterata.

Le regioni del cervello e i processi che sottendono la dipendenza si sovrappongono ampiamente a quelli coinvolti nelle funzioni cognitive, tra cui l’apprendimento, la memoria, l’attenzione, il ragionamento e il controllo degli impulsi. Le droghe alterano la normale struttura e funzione del cervello in queste regioni, producendo cambiamenti cognitivi che promuovono l’uso continuo di droga attraverso un apprendimento disadattivo e, al contempo, ostacolano l’acquisizione dei comportamenti adattivi che consentono di astenersi dall’uso.

Questo articolo esamina le attuali conoscenze sugli effetti cognitivi delle droghe e le basi neurologiche di quanto si osserva. Tali effetti possono essere particolarmente distruttivi quando gli individui sono esposti alle droghe durante lo sviluppo cerebrale, dal periodo prenatale all’adolescenza, o nei confronti di individui con disturbi mentali. La comprensione di questi problemi potrà aiutare i medici che lavorano nel campo delle tossicodipendenze ad identificare e rispondere ai cambiamenti cognitivi che possono modificare le risposte dei pazienti al trattamento.

Un processo a più fasi

Recenti revisioni scientifiche caratterizzano la tossicodipendenza come un processo a due fasi.
Nella prima fase, l’occasionale assunzione di una droga da parte dell’individuo diviene, continuando l’uso, cronica e sempre più incontrollata. L’origine neurologica di questi sintomi è la disregolazione del sistema di ricompensa del cervello (rewards system) prodotta dalla droga. Normalmente, la segnalazione di un aumento della dopamina all’interno di questo sistema  produce sensazioni di piacere che orientano gli organismi a cercare ed eseguire le attività che sostengono la vita, quali l’individuazione di ambienti favorevoli, mangiare o fare del sesso. Le sostanze d’abuso ipersollecitano questo sistema producendo aumenti improvvisi e in grande quantità di dopamina nel nucleo accumbens (NAc), cui seguono intense sensazioni di piacere; ciò motiva un ulteriore consumo di droga e promuove, allo stesso tempo, la formazione di associazioni disadattive droga-stimolo.

Gli individui, nella seconda fase del processo di dipendenza, presentano ulteriori caratteristiche cliniche, inclusi:

  • sintomi di astinenza per mancata assunzione della sostanza;
  • persistente vulnerabilità alla ricaduta;
  • alterazioni nella formazione del processo decisionale e in altre funzioni cognitive.

Quindi, mentre l’uso iniziale di droghe promuove la formazione di associazioni disadattive droga-stimolo che contribuiscono alla ricerca di droga e al suo utilizzo, le fasi successive distruggono i processi cognitivi ed altre funzioni che sono importanti per sostenere una piena astinenza. La reale misura dell’impatto delle droghe sulla cognitività non è ancora ben nota, ma la ricerca indica che i tossicodipendenti hanno alterazioni in
varie regioni del cervello, compresi lo striato, la corteccia prefrontale, l’amigdala e l’ippocampo.

La formazione dell’associazione droga-stimolo

Il modello a più fasi della tossicodipendenza attribuisce le forti risposte dei pazienti agli stimoli legati alle droghe ad un processo di apprendimento (e di memorizzazione), in grado di inculcare potenti associazioni stimolo-droga. Da questo punto di vista, quando un individuo assume una droga percepisce tutto ciò che in quel momento lo circonda come altamente significativo (saliente) e fa connessioni mentali di eccezionale
forza tra le caratteristiche di tale ambiente e il piacere intenso prodotto dalla droga. In seguito, quando egli rincontra quegli stessi elementi ambientali (persone, cose, oggetti, suoni, odori, etc.), le potenti associazioni riaffermano se stesse, consciamente o inconsciamente, e sono vissute come potentissime spinte a cercare ed utilizzare le droghe. Di conseguenza, se si espongono individui tossicodipendenti a stimoli che essi collegano con l’uso di droghe, questo susciterà – assieme a risposte fisiologiche e un intensissimo desiderio di droga – variazioni dei livelli di attività delle regioni cerebrali coinvolte nell’apprendimento e nella memoria, per esempio, nello striato, nell’amigdala, nella corteccia orbitofrontale, nell’ippocampo, nel talamo e nella parte sinistra dell’insula.

Una recente ricerca ha cercato di spiegare la sorprendente e persistente capacità della disadattiva associazione droga-stimolo di influenzare il comportamento e provocare la ricaduta. Studi hanno dimostrato che molte delle sostanze di abuso ridisegnano le modalità di comunicazione tra i neuroni (plasticità sinaptica) e questo potrebbe contribuire sia alla formazione quanto alla persistenza dell’associazione droga-stimolo.

Deficit cognitivi dell’abuso cronico

I tossicodipendenti che progrediscono verso la seconda fase della loro condizione subiscono gli effetti dell’astinenza quando cessano di assumere la droga. Molte droghe producono deficit cognitivi legati a questa fase che possono rendere più difficile l’astinenza stessa. Questi sintomi includono:

  • per la cocaina, deficit nella flessibilità cognitiva;
  • per l’amfetamina, deficit dell’attenzione e nel controllo dell’impulso;
  • per gli oppioidi, deficit nella flessibilità cognitiva;
  • per l’alcol, deficit nella memoria di lavoro e dell’attenzione;
  • per la cannabis, deficit nella flessibilità cognitiva e dell’attenzione;
  • per la nicotina, deficit nella memoria di lavoro e nell’apprendimento dichiarativo.

La nicotina è un esempio noto dei cambiamenti cognitivi che sopraggiungono durante l’astinenza. Sia nei fumatori cronici che nei modelli animali di dipendenza da nicotina, la cessazione della somministrazione di questa è associata a carenza nella memoria di lavoro, nell’attenzione, nell’apprendimento associativo e nei calcoli (addizioni e sottrazioni seriali). Inoltre, è stato dimostrato che la gravità delle riduzioni nelle prestazioni cognitive durante i periodi di astinenza dal fumo predice le ricadute. Anche se questi deficit, di solito, scompaiono con il tempo, una dose di nicotina può rapidamente migliorare i deficit cognitivi, una situazione, questa, che contribuisce alle recidive. Quindi, l’abuso cronico di sostanze può portare a deficit cognitivi che sono particolarmente accentuati nelle fasi iniziali dell’astinenza.

Mentre i deficit cognitivi associati all’astinenza da droghe sono spesso, come detto, temporanei, l’uso a lungo termine può anche portare a durevoli, persistenti declini cognitivi. La natura dei deficit varia a seconda della sostanza utilizzata, l’ambiente e il profilo genetico dell’utente. Complessivamente, comunque, questi sono in grado di danneggiare la capacità di apprendere nuovi modelli di pensiero e di comportamento favorevoli ad una risposta positiva al trattamento e al recupero.

Ad esempio, i consumatori cronici di cannabis presentano un alterato apprendimento e una alterata conservazione mnemonica e recupero delle parole dettate; sia negli utilizzatori da lungo tempo che in quelli recenti si osserva inoltre un deficit nella stima del tempo, sebbene non sia ancora ben noto come questo deficit possa persistere così a lungo.

In un altro esempio, gli utilizzatori cronici di anfetamine ed eroina mostrano deficit in un range di abilità cognitive tra cui la fluidità verbale, il riconoscimento di ripetitività simboliche, la pianificazione e la capacità di spostare l’attenzione da un punto di riferimento ad un altro. Il deficit nella capacità decisionale assomiglia inoltre a quello osservabile nei soggetti con danni alla corteccia prefrontale, suggerendo che entrambe le droghe alterano la funzione in quella zona del cervello.

Due recenti studi suggeriscono che talune perdite cognitive indotte dalle metamfetamine possono essere parzialmente recuperate dopo una prolungata astinenza. Gli utilizzatori cronici di valutati dopo un’astensione dall’uso inferiore a 6 mesi, presentavano un punteggio più basso rispetto ai controlli, non esposti, nei test della funzione motoria, della memoria per le parole pronunciate e in altri compiti neuropsicologici.

In uno studio in poliassuntori di droghe che avevano dichiarato una preferenza primaria sia per la cocaina che per l’eroina, i deficit nella funzione esecutiva – definita come cambiamenti nella fluidità verbale, nella memoria di lavoro, nel ragionamento, nelle risposte inibitorie, nella flessibilità cognitiva e nella capacità decisionale – permanevano tali sino a 5 mesi dall’astinenza.

In un altro studio, metilendiossimetamfetamina (MDMA, ecstasy) continuavano a presentare un punteggio relativamente basso nei test di ripetizione delle parole pronunciate, sia immediatamente che dopo un certo tempo; ciò anche dopo 2 anni e mezzo di astinenza.

 

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